
pp. 218 – Feltrinelli – Milano 2006
Prezzo di copertina € 14,00
Nostro prezzo € 7,00
- ESAURITO -
Analisi impietosa e senza mezzi termini riguardo la situazione dei mass media italiani. Poveri, privi di contenuti analitici, diretti a sostituire sempre più l’immagine al discorso serio ed approfondito, questi mezzi d’informazioni servono un potere stupido e sempre più incapace di fare qualcosa che non sia spettacolo e anestetizzazione dei problemi pubblici.
La semplificazione populistica in corso non è del tutto nuova, eppure mai come in questi ultimi dieci anni ha raggiunto livelli di piattezza e di squallore. Questo libro pone raffronti agghiaccianti con altri livelli informativi, per esempio quello tedesco o quello francese, facendo vedere come la strizzatina d’occhio del berlusconismo italiano è un abito mentale che stiamo indossando un po’ tutti. La stessa informazione di opposizione ne subisce l’influsso e si adegua per incapacità e piattezza di prospettive.
“Lo spettacolo che cancella i limiti dell’io e del mondo – aveva detto Debord – cancella parimenti i limiti del vero e del falso”. L’Italia dell’informazione, per come appare oggi, ha questa cancellazione in corso, lo spettacolo, a cui tutto viene ridotto, cancella il dato di fatto e quindi la stessa funzione democratica del sapere.
Il sottofondo attuale rivaluta questa tecnica, chiede che tutti si discuta, tutti, nessuno escluso, anche gli anarchici. Si è capito che l’ideale non nascondeva grandi pericoli, una volta calato nella rissosa fattività del quotidiano. Bastava disossarlo lentamente, lasciando che tutti lo riducessero a semplice fantasma. Il fantasma corrosivo della chiacchiera dilaga dappertutto. Non esistono più quegli incidenti che prima potevano mettere in difficoltà il meccanismo di organizzazione e controllo. L’avvenuta era del consenso permette il riciclaggio di qualsiasi incidente, purché quest’ultimo non rifiuti la condizione essenziale, quella di essere diffuso come avvenimento, come accadimento spettacolare, come notizia e quindi comunicazione. Il sottofondo ragionevole ha nientificato qualsiasi fondamento possibile, applicando il metodo della banalizzazione. Più un dato di fatto viene comunicato, più viene banalizzato, trasformato in semplice elemento della quotidianità. La comunicazione stacca il fatto dal suo significato, annullando l’idea che potrebbe fondarlo e quindi riproporlo in una sequenza di pericolosità insondabile. Ogni fatto appare incondizionato, privo di elementi caratterizzanti. La sua stessa corrispondenza interna con un sistema conoscitivo capace di renderlo intelligibile è retta da regole interpretative che hanno il compito di catalogare e basta, escludendo qualsiasi lavoro del pensiero. Il meramente esistente riempie in questo modo il mondo della quotidianità, si accumula nella ripetizione di fatti consueti che solo l’abitudine ci permette di cogliere, privi come sono di qualsiasi traccia propositiva. Nessuna critica, ripeto, può sondare questa profondità dell’assenza, salvo a rimettere tutto in gioco, non solo il fatto, ma tutto il meccanismo che lo produce e giustifica, divieti pattuiti compresi. Il sottofondo in cui viviamo è caratterizzato da questa produzione di fatti, da questa catalogazione uniformizzante.