
pp. 202 – Sellerio – Palermo 1995
- ESAURITO -
Giovanni della Croce e Teresa d’Avila costituiscono la coppia mistica più famosa del Cinquecento spagnolo. Essi immaginano e sperimentano, quindi insegnano, il metodo che porta alla quiete interiore.
È la grande personalità di Teresa che affascina Giovanni, che a soli venticinque anni si entusiasma per le idee di riforma dell’ordine carmelitano, secondo un programma di rinnovamento spirituale. Ben presto, nel 1568, segue Teresa a Valladolid dove assiste alla fondazione delle Carmelitane Scalze. Qualche mese dopo infonde lo stesso entusiasmo a un gruppo di compagni, con i quali fonda il primo convento dell’ordine maschile.
I due grandi mistici carmelitani dominano l’ambiente spirituale del Cinquecento non soltanto in Spagna. Dopo di loro la storia della mistica cristiana entra in una fase nuova che si concluderà solo un secolo più tardi con la condanna del quietismo da parte della Chiesa e la virtuale fine del misticismo cristiano, che solo di recente accenna ad una timida rinascita sotto l’influenza dell’Oriente, rinascita contrastata dalla Chiesa ma, almeno finora, con non troppa efficacia per come si vede dai risultati.
La passionale Teresa era molto lontana, come persona e come pensatrice cristiana, dal delicato Giovanni, ma entrambi sperimentano un cammino spirituale simile.
Prima di tutto: come superare i difetti. Tra questi Giovanni elenca il parlar molto, l’attaccamento alle persone, al vestire, alla residenza (la cella nel caso di un frate), al mangiare, alla curiosità di informarsi, di udire, ecc. Superati questi attaccamenti il discepolo, in una fase decisiva del suo percorso, entra nella notte oscura.
Il termine “notte oscura” non è inventato da Giovanni, anche se è lui a fornirgli diffusione e fama, ma è ripreso dalla tradizione mistica, in particolare da Gregorio da Nissa, dallo Pseudo-Dionigi e da Taulero. Tuttavia fu Giovanni della Croce ad attribuirgli quel valore centrale che ne fa l’espressione sintetica dell’esperienza mistica. Su di essa ci sono vari fraintendimenti, il più frequente dei quali è quello di identificare notte oscura con sofferenza e nient’altro, senza tener presente che l’espressione si riferisce invece a tutti i momenti dell’esperienza e quindi anche a quello culminante, quando diventa “notte pacifica, abissale e oscura intelligenza divina”.
Se il Signore ottenebra questa luce e chiude la porta, ecco che si annega in questa notte la quale lascia tanto aridi che non si trova alcun gusto nelle cose spirituali e nelle devozioni in cui si era soliti trovare diletto e piacere, ma al contrario vi si trovano disgusto e amarezza. Ma la porta non resta sempre chiusa: è una sorta di prova.
Occorrerà invece sviluppare la capacità di contemplazione che, in modo apparentemente molto semplice, è descritta come un “rimanere quieti trascurando qualsiasi opera interiore ed esteriore e tenendo lontana ogni sollecitudine di fare qualche cosa”. In realtà si tratta di un suggerimento molto tecnico, che viene spiegato come un cessare da ogni meditazione di tipo discorsivo e restare fermi su un oggetto singolo e specifico, che nella fattispecie è la sensazione della presenza di Dio.
La nuova forma di meditazione è data quindi dal piacere di “starsene soli con attenzione amorosa in Dio, senza considerazione particolare, e in pace interiore, quiete e riposo”, è in pratica quello che Giovanni intende per contemplazione.
Leggere san Giovanni della Croce non garantisce risultati. Queste riflessioni non sono mai in assoluto capaci di garantire risultati non contraddittori fra di loro, ma costituiscono un’esperienza unica.