
pp. 418 – Edizioni Anarchismo – Trieste 2003
Prezzo di copertina € 15,00
Nostro prezzo € 10,50
Ci sono autori che collaborano ad una cristallizzazione precoce del loro lavoro. Alcuni, anzi, vi provvedono da soli, stilando guide per i lettori, indicazioni di scuola, patenti governative e riconoscimenti di alto lignaggio. Ma sono i meno pericolosi. Con costoro si sa come comportarsi: non sono mai sorprese per il lettore cosciente.
È con gli altri, con quelli come Stirner, che si corrono i più grossi pericoli, che più pressante si fa il ricorso al sostegno del nume tutelare di parte (o di partito), del critico programmatore e custode dell’interpretazione conclusiva e definitoria.
Ma poi, quando si ha coscienza di quello che si fa, ci si accorge che non sono sufficienti i protettori titolati, che non si è tranquilli, che il senso dello strumento è stato deformato, che non si è capito nulla e che bisogna ricominciare tutto di nuovo.
Non c’è dubbio che Stirner debba essere considerato come un pensatore di un certo tipo e che debba porsi in relazione allo sviluppo della filosofia nell’epoca in cui visse e lavorò. Non c’è dubbio che questo passo preliminare contribuisca a fissare i termini del problema di una lettura che – più o meno rigidamente – deve essere tale e non tal’altra. Ma è anche fuor di dubbio che così facendo, per quanto si cerchi di poggiarsi su fondamenta unanimamente riconosciute per solide, si finisca per restare con la bocca amara.
La rigorosa riduzione all’assurdo delle tesi dell’idealismo hegeliano, collocata nel quadro filosofico dell’ambiente in cui venne realizzata, ha un’importanza limitata a quella polemica e a quello scontro ideologico. Lo stesso dicasi per la critica delle concezioni politiche disponibili sul mercato, delle forze in gioco e di quelle teorie che le sostenevano. Anche il linguaggio, il metodo dell’esposizione, la puntigliosità teutonica, l’amore per le metafore bibliche, il dilettarsi di aforismi e salti qualitativi: tutta merce d’epoca. Ma così facendo, si circoscrive solo un momento della lettura, un senso dello strumento viene percepito, un altro (o tanti altri) ci sfuggono.
La lotta dell’Unico viene riportata all’interno del quadro storico delle sue interpretazioni: dai padri della chiesa all’esistenzialismo. Un’altra epoca di lettura. Quello che ci sfugge continua, ancora, a correre davanti a noi.
In effetti lo scontro non è mai stato tra individualismo e comunismo, nemmeno quando a questi due termini si aggiunge la parola “anarchico”. Il guanto estetico non ha mai calzato bene la mano ferrata del politico. E Stirner vive profondamente la crisi di una veggenza della disumanizzazione dell’estetica e della politica.
Che questa sua crisi non sia stata inintelligibile per più di un secolo non è nemmeno vero: qua e là sono emersi timidi riferimenti, schiacciati dall’ottusità dei tempi e dalle necessità della lotta del potere. Una lettura isolata – magari nel chiuso di una prigione – non faceva testo di fronte alle “ufficialità” delle condanne o delle esaltazioni, ognuna delle quali aveva di mira la crescita di una linea di “potere” che, spesso, si confondeva con la lotta “dichiarata” contro il potere.
L’Unico è il riferimento più concreto alla “totalità” della dimensione storica dell’uomo, che si smarrisce nella “parzialità” delle realizzazioni associative fittizie. Senza ombra di iperboli, Stirner è il teorico dell’associazione più consequenziale che io conosca, almeno di quell’associazione anarchica che è l’unione degli sfruttati non più come esseri metafisici – frutto di un’elaborazione ideologica – ma come esseri fisici, con i loro stomaci vuoti e le budella separate da quelle dell’Imperatore del Giappone che – beato lui – mangia ogni giorno.