
pp. 350 - Sellerio - Palermo 1993
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Una continua sequela di disgrazie senza interruzione: ecco il libro di Verga. Ad Acitrezza, paesino a pochi chilometri da Catania, una famiglia di pescatori vive questa passione e diventa, nell’immaginario collettivo dei siciliani come pure nella poetica personale di questo grande narratore, il simbolo dei “vinti”, cioè di tutti i miseri che pure avendo lottato tutta una vita sono costretti a soccombere di fronte al destino avverso e alle condizioni della propria classe di diseredati.
La barca di proprietà della famiglia si chiama Provvidenza e tutti loro, dal patriarca padron ‘Ntoni all’ultima figliuola, Mena, sono grandi lavoratori, da cui, per antitesi, come spesso accade in Sicilia, il loro soprannome di “malavoglia”. Ma il destino si accanisce contro di loro. La barca perde a causa di una tempesta il carico di lupini, per giunta quasi marci, che stava per trasportare a qualche chilometro di distanza nel paese costiero di Riposto. Ecco quindi che si trovano di fronte a un disastro: la barca quasi perduta, il debito da pagare e la morte, nel naufragio, del figlio Bastianazzo.
Non si risolleveranno più. Un nipote morirà nella catastrofica battaglia di Lissa, un altro tornato dal servizio militare non vorrà interessarsi per un aiuto alla famiglia, nella speranza di arricchirsi si dà al contrabbando ma finisce in prigione dopo avere accoltellato un brigadiere che, si diceva in paese, avesse una relazione con la sorella Lia. Il vecchio ‘Ntoni perde la casa del nespolo, piccola ma graziosa, posta nel centro del paese. Lia per sfuggire alle malelingue va in città e diventa una prostituta.
È una enciclopedia del dolore ma, principalmente, della sconfitta. Lo stesso Verga, abituato a ben altri segnali stilistici nelle esperienze milanesi, deve essersi reso conto di questo. Difatti il suo registro cercherà di andare più addentro nei destini dei “vinti” in altri romanzi “veristi”, come in Mastro Don Gesualdo. Eppure è proprio con I Malavoglia che si coglie quella perfetta cognizione del dolore, come direbbe Gadda, che è tipica della mentalità siciliana, così come viene espressa nei canti tradizionali della sua agente e nelle vicende gloriose ma sempre infauste narrate dai suoi cantastorie.