
pp. 116 - Salerno editrice - Roma 1987
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Una novella, in sé non certo lunga, diventa un romanzo complesso e ricco di accadimenti. Il canone romantico della visione fatalistica della vita, dell’uomo incapace di reggere il confronto col destino, rifiutato. Non c’è qui una sola situazione critica, c’è il decorso di un’esistenza, di parecchie esistenze.
La vicenda si svolge in parecchi decenni, forse più della metà di una vita. Ed è una storia criminale piena di sfumature che nulla hanno di romantico, anche se si sente l’influenza magica di scrittori come Jean Paul.
Tre misteriosi omicidi sono eseguiti ai piedi di un grande faggio in una foresta della Vestfalia. Ermanno Merghel, padre di Friedrich, il guardaboschi Brandis e l’ebreo Aaron.
Il protagonista, Friedrich Merghel è accostanto dalla narratrice a tratti, quasi mai direttamente, con un linguaggio che presenta continuamente illuminazioni sinistre e reticenze angosciose.
L’analisi di un carattere forse e vigoroso in bilico continuo e mai risolto tra il richiamo della religiose cristiana e i residui di superstizioni pagane e ancestrali.
Il protagonista si suicida. Il finale è agghiacciante. Si impicca proprio a un ramo del faggio sotto cui erano stati trovati i cadaveri e dove un ebreo sconosciuto, forse un amico di Aaron, aveva scritto: “quello che gai fatto sarà fatto a te”.
Alla fine la lotta contro il destino si rivela perdente, mentre la presenza vendicatrice della natura, personificata nella foresta tedesca e nel suo ambiente che respira ancora le sensazioni mitologiche del passato, è comunque dappertutto tangibile.