Per l’alto mare aperto

Ettore Canepa
pp. 160 - Jaca Book - Milano 1991
Prezzo di copertina € 12,40
Nostro prezzo € 6,20

Il mare è quella stupenda espressione della natura che quasi tutti conosciamo. Non bisogna essere proprio innamorati del mare per avere fatto l’esperienza di quanto esso influisce sulla nostra vita e sulle nostre fantasie, oltre beninteso sulle nostre paure.

La letteratura riguardante il mare, con le sue mille sfaccettature, dall’avventura all’idillio romantico, è sterminata. Ma non sono poi molti ad avere l’esperienza del mare nella pienezza del suo essere una “incalcolabile distesa d’acqua”. In mare aperto, nell’ “alto mare aperto”, si concretizza quella che Canepa chiama avventura metafisica della vita, e si comprende subito come tutte le questioni che ci assillano nel nostro continuo e stancante affaccendarci quotidiano, non sono altro che piccole procelle in un bicchiere.

“C’era una nave... ”, canta Coleridge. Il tempo sembra staccarsi dalla contiguità con la vita non appena la nave si stacca dal molo di partenza. L’ignoto l’attende, la tempesta, la bonaccia, due antipodi che presentano paure diverse ma che stringono il cuore del marinaio alla stessa maniera. Cessa la tempesta e tutto raggela nella calma che potrebbe risultare altrettanto mortale. Fino a quando l’uomo e il mare riusciranno a dialogare pacificamente? Fino a quando “Da sud il vento si leva propizio?”.

Nel Sartor Resartus di Carlyle, il mare gioca un ruolo fondamentale per la grande quantità di metafore che riesce a mettere al servizio di una iniziazione personale, una sorta di viaggio con qualche ricordo del Noviziato di Wilhelm Meister di Goethe di cui lo stesso Carlyle era stato traduttore. Il libro è una sorta di riflessione e di commento di un “editor” che si appresta a curare uno strano libro tedesco sulla “Filosofia degli Abiti”, di un certo professore Teufelsdröckh. Si tratta di un contesto informe ed estesissimo, un vero e proprio mare in tempesta dove l’attenzione, la stessa mente, dell’ “editor”, annegano senza misericordia.

Di Moby Dick non occorre parlare a lungo. La lotta dell’uomo contro il male, il male che si fronteggia e che si vede, ma anche quello che non si vede perché dentro di noi e che solo la dura legge del mare può far venire a galla. Di fronte ai fuochi di Sant’Elmo, appollaiati in cima ai pennoni della baleniera, Achab lancia la sua sfida: “Oh tu! Chiaro spirito del chiaro fuoco, che su questi mari come un persiano su questi mari un tempo adorai. Ora ti conosco, chiaro spirito, e ora so che il culto che ti si deve è sfida”.

Perfino nel Partigiano Johnny di Fenoglio il mare arriva, indirettamente, ma arriva. Il Civico collegio dove ha sede il comando americano sembra una petroliera oceanica; il paese di Mombarcaro somiglia ala cresta di un maroso fermato di colpo su di un mare in tempesta; le fortezze volanti americane sono dei galeoni che veleggiano maestosi, ecc. Assimilare al mare le Langhe ha lo scopo di farle vedere diversamente, e quindi di indicare in modo differente l’esperienza della lotta di liberazione che in quelle zone si andava svolgendo.

L’impresa del libro di Canepa, così come è stata formulata e realizzata, è certamente difficile e rischiosa, ma il lavoro è ottimamente riuscito. Il lettore sente, fra i tanti riferimenti e le tante suggestioni letterarie, in che modo il mare è legato indissolubilmente alla vita dell’uomo e quanto riesce a condizionarla con la sua presenza concreta e immaginaria.