Francesca Rivetti Barbòpp. 322 – Jaca Book – Milano 1986
- ESAURITO -
Nel secolo scorso, il cosiddetto “secolo breve”, l’antinomia del mentitore ha messo a dura prova la nozione classica di Verità. In questi ultimi anni si è tornati più volte sull’argomento ma con risultati poco soddisfacenti, se si eccettua l’uso combinato del teorema di Gödel e del rasoio di Kant.
La Rivetti Barbò propone una indagine estremamente documentata, con citazioni antologiche di Peirce, Russell, Whitehead, Ramsey, Tarski e Carnap, che fa il punto sulla questione.
Ancora una volta è stato proprio Wittgenstein, non citato se non occasionalmente nel libro, a mettere il dito sulla piaga. “Non c’è una distinzione netta tra vero e falso, egli afferma, si tratta di sfumature, e ciò senza cadere nel relativismo”. Il racconto del mentitore è una occasione per enunciare la distinzione stessa, come di regola viene fatto, ma questa volta serve a indicare l’esistenza della sfumatura che rende inoperante la distinzione. Certo, il logico qui si mantiene nell’ambito delle ipotesi senza suggerire conseguenze e pregiudizi estrosi o esagerati, eppure questa apertura deve essere segnalata. Accidenti che sopraggiungono rendono insostenibile la tesi strettamente formale riguardo il modo in cui si può esaminare la validità logica del paradosso di Epimenide o del mentitore. Le soluzioni proposte da Russell o da Tarski non sono soddisfacenti. La conclusione è proprio questa, che nel confine tra menzogna e verità esiste un territorio paradossale che rende confusa ogni distinzione. Le perturbazioni che si scatenano in questo territorio fanno vedere i grandi limiti del linguaggio, l’impossibilità di colmare questi limiti con qualsiasi metalinguaggio elaborato a tale scopo, matematica in primo piano e, dall’altro lato, fanno vedere che di fronte alla qualità la parola è disarmata. Dire la qualità è impossibile nel momento in cui la vivo, nella perfetta conchiusione dell’azione, ma un altro discorso si apre in sede rammemorativa. Il piacere o il dolore, tutto quello che la vita mi porta di incomprensibile, o paradossale, e che sottopongo all’esame modificativo della conoscenza, sono qui leggibili come inseriti all’interno del processo di orientamento percettivo, nulla di più. Se li sottopongo a giudizi di valore, con cui alimento le tante giustificazioni che mi fanno tollerare la mia precaria condizione di vita e le mie preoccupazioni inquiete, devo ridurre questi giudizi alla procedura quantitativa. Il resto è soltanto avventura e rischio.