Rossella Fabbrichesi Leo
pp. 174 – Jaca Book – Milano 1992
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Ricerca fondamentale su uno dei filosofi più importanti del secolo scorso. L’ipotesi di una logica relazionale, incrocio produttivo di nuovi significati tra algebra, filosofia, linguistica, metafisica è ancora sul banco di prova dell’ultima generazione di filosofi analitici.
Non si tratta quindi di un libro per specialisti, una branca della logica matematica, tutt’altro direi. Si tratta di un suggerimento alla lettura di uno dei filosofi più difficili proprio perché le sue teorie sono disperse in pubblicazioni di difficile reperimento. Charles Sanders Peirce. “Il segno crea qualcosa nello spirito dell’interprete e questo qualcosa in quanto è stato creato dal segno è stato anche creato, in modo mediato e relativo, dall’oggetto del segno, per quanto l’oggetto sia essenzialmente altro dal segno”. Peirce descrive un doppio intervento, parallelo e interagente, tra segno e oggetto del segno.
E ancora. “Per sviluppare il significato di una cosa non dobbiamo fare altro che determinare quali abitudini essa produce, giacché quello che una cosa significa è semplicemente l’abitudine implicata da essa. L’identità di un’abitudine dipende dal come essa ci porterà ad agire, non solamente nelle circostanze che probabilmente sorgeranno, ma anche in quelle, per improbabili che siano, che possono sorgere”. Peirce, maestro dell’episteme, sovrappone agire e fare, il che è per altro molto comune fra gli epistemologi, ma riesce qui a fare luce tra abitudine e motivazione. Tutto è nel mondo, in questo senso egli è materialista, è nel mondo anche il tutto, non potrebbe essere altrimenti, ma il mondo è un movimento che separa, quindi una parte è in allontanamento verso l’oceano della paura. Non si risolve, questa parte, nella condizione remota che vediamo come assolutamente altro, ma non giace nemmeno al sicuro, provvista di ogni garanzia.
Riguardo il simbolo e il suo destino, secondo Peirce il simbolo può essere soltanto interpretato. Esso ha soltanto le plaisir de paraître e basta. Non è quello che viene simboleggiato, in caso contrario si ricadrebbe ancora nel sostanzialismo, sia pure rovesciato. Che tra tensione e inquietudine ci sia un rapporto relazionale è possibile, ma è mediato dai residui, non è direttamente orientabile dalla coscienza immediata. Se questo fatto fosse possibile, la coscienza tratterebbe l’inquietudine come una secrezione, un qualsiasi altro oggetto prodotto, e se ne farebbe facilmente una ragione, il che non avviene. La filosofia ha ormai definitivamente separato il caso dalla causalità, finendo per considerarlo, sulla base delle conclusioni di Peirce, un’equivalenza di probabilità che non possono essere previste in maniera positiva. Questa nozione del caso è insoddisfacente in una filosofia relazionale, mentre può reggere solo nella dimensione ristretta della sperimentazione fisica, e di fatto viene utilizzata nella logica dell’a poco a poco. Questa dimensione è un semplice riflesso della realtà nel suo insieme, dove tutti i movimenti relazionali si svolgono sulla base di affievolimenti e intensificazioni contestuali. Peirce ha intuito, come fa notare la Fabbrichesi Leo, non una carenza di prevedibilità, ma una impossibilità di causalità, ed è ciò che rende specifico il caso e lo fa entrare anche in quei movimenti che per il loro particolare carattere macroscopico, spesso, non sempre, vengono erroneamente riferiti alla causalità vera e propria.