Carteggio

Friedrich Nietzsche – Richard Wagner
pp. 155 – SE – Milano 2003
Prezzo di copertina € 17,00
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Il brivido che ci dà il Tristano è identico a quello dello Zarathustra. Così Giorgio Colli, di certo uno dei più attenti indagatori dell’opera di Nietzsche e, in parte, anche dei problemi della tormentata e paradossale relazione di quest’ultimo con Wagner.

In effetti, lo scontro di queste due persone, dotate di angolature psicologiche sostanzialmente contrastanti e apparentemente parallele, non poteva essere che destinato a prendere la strada degli equivoci. Leggendo la parte idilliaca, in cui i complimenti reciproci si sprecano, si capisce, a poco a poco, che la tensione accumulata doveva sfociare da qualche parte. Se a questo si aggiungono le condizioni di salute degli ultimi anni di Nietzsche si capisce meglio la triste conclusione di questo crepuscolo.

In effetti non ci fu nessun chiarimento, le cose peggiori, e a volte anche ingiuste, Nietzsche le scrisse ad altri, mentre dal lato di Wagner l’interferenza di Cosima non dovette certo essere una complice sanatoria.

Ambedue i protagonisti in fondo parlano a se stessi, chiusi nel proprio tormento e nella direzione che vogliono a tutti i costi seguire, convinti di quello che stanno facendo. Non ci può essere dialogo, e senza dialogo niente vero e proprio epistolario, solo un “carteggio”. Nulla di più.

“E infine – scrive Nietzsche in Aurora, Prefazione, 5 – a qual scopo noi dovremmo dire così forte e con tale zelo ciò che noi siamo, ciò che vogliamo e non vogliamo? Guardiamo con più freddezza, più in distanza, con più intelligenza, più dall’alto, diciamolo, come può esser detto tra di noi, così in segreto, che nessuno lo senta, che nessuno ci senta! Soprattutto diciamolo lentamente... Questa prefazione giunge tardi, ma non troppo tardi, che cosa importano, in fondo, cinque, sei anni? Un libro del genere, un problema del genere non ha alcuna fretta; inoltre noi due siamo amici del lento, io come il mio libro. Non siamo stati invano filologi, forse lo siamo ancora, maestri cioè della lenta lettura: – alla fine si giunge anche a scrivere lentamente. Adesso non fa parte soltanto delle mie abitudini, ma anche del mio gusto – un gusto malizioso forse? – non scrivere più niente, che non conduca alla disperazione ogni genere di gente che ‘ha fretta’. La filologia infatti è quell’onorevole arte che da colui che la venera esige soprattutto una cosa, trarsi in disparte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento –, in quanto è un’arte e una competenza di orafi della parola, che deve compiere soltanto lavori finissimi che richiedono cautela e non raggiunge nulla, se non lo raggiunge lento. Ma proprio per questo essa è oggi più necessaria che mai e proprio perciò ci attira e ci affascina assai fortemente, nel cuore di un’epoca del Lavoro, voglio dire: della fretta, dell’indecente e sudaticcia precipitazione, che vuol sbrigarsela subito con ogni cosa, anche con ogni antico e nuovo libro: – Essa stessa non se la sbriga così facilmente con una qualsiasi cosa, essa insegna a leggere bene, cioè lentamente, profondamente, con riguardo e precauzione, con pensieri reconditi, lasciando porte aperte, con dita e occhi delicati... Miei pazienti amici, questo libro desidera per sé soltanto perfetti lettori e filologi: imparate a leggermi bene! –”.