
pp. 209 – SE – Milano 1998
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“Quante volte, al momento di mettere un blu, mi sono accorto che non ne avevo. Allora ho preso un rosso e l’ho messo al posto del blu. Vanità delle cose dello spirito”. Queste parole contrassegnano bene l’intera opera di Picasso. Non solo quella pittorica.
Solo che bisogna sottolineare due aspetti importanti. Che un colore valga l’altro, come una qualsiasi battuta musicale può fare seguito a qualsiasi altra battuta, è un dato di fatto, la gratuità alberga dovunque, ma non si tratta di “cose dello spirito”, direi si tratta del materiale grezzo. L’arte sta al di qua e al di là di questi problemi. Al di qua, perché la sensibilità culturale dell’artista domina la vicenda del reperimento dei materiali, per poi, al di là, rendersi disponibile all’influenza di questi ultimi sulla propria crescita e su quello che sarà capace di prospettare. Il critico che si pensa estraneo a questo totale coinvolgimento, è un osservatore che vede passare un treno ma non ha mai viaggiato in vita sua, né mai viaggerà.
Se si leggono, come spero che il lettore provveduto non mancherà di fare, gli scritti letterari di Picasso ci si accorgerà che la sua grande capacità pittorica di colorare l’universo si rivela nella struttura medesima del linguaggio. Se, al contrario, si studia questo processo di scarnificazione, lo si mette sul tavolo del notomista, per poi ricavarne un modello, come penso che qualcuno sta facendo anche in questo momento, il risultato è un cadavere in via di putrefazione.
Da non dimenticare che questo è un libro di Picasso, non un libro su Picasso.