pp. 204 – Il melangolo – Genova 1994
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Il casino che non si riesce a dire è la vita. Il “Personaggio” di questo testo teatrale, trasposizione de Il solitario, unico romanzo di Ionesco, riceve una consistente eredità e quindi è in grado di tagliare tutti i ponti con la sua vita precedente: lavoro, amicizie, affetti, abitudini, tutto. Solo allora l’incredibile inconsistenza della vita gli si palesa in tutta la sua terribile realtà.
L’intreccio della mia vita personale è creato dagli altri, afferma Michail Bachtin, il che è incontrovertibile.
Il bric-à-brac spaventevole della commedia è il delirio che rende incomprensibile l’attaccamento alla vita che molti hanno quanto più quello che scambiano per vita si avvicina alla morte, e come tanti fuggano dalla vita pieni di spavento, pensando ai pericoli mortali che vi sono contenuti come elementi insostituibili. Questo delirio anela a superare la morte e anche la vita, ad andare oltre ciò che è solo una parodia cimiteriale e rivolgersi a un progetto senza limiti, e senza moduli giustificativi.
Il “Personaggio” sta muto di fronte alla vita che gli scorre davanti, un osceno e incomprensibile canovaccio. L’umorismo crudele di Ionesco raggiunge livelli tragici realizzando il senso profondo della solitudine umana. Egli ascolta e si ascolta, e scopre così di essere murato dentro il silenzio, un ubriacone che sta nell’alcool come dentro una corazza, impaurito da tutte le voci che gli arrivano dal mondo.
Nel racconto di Kafka La tana un animale del bosco ha cercato con tutta la propria energia di costruirsi un rifugio sotterraneo capace di raccomandare (empfehlen) la propria solitudine. I lavori di scavo, di consolidamento, di ampliamento, la scorta di viveri e le ispezioni alle opere di difesa assorbono tutta la vita dell’animale, ma lui teme sempre che ci siano nemici capaci di infiltrasi nella tana, sopraffarlo ed espropriarlo. Ogni visita all’esterno è fatta quasi esclusivamente per considerare lo stato dei lavori di difesa, per valutare possibili strategie di attacco da parte del nemico. In uno di questi rientri è sorpreso, all’interno della tana, da una serie di sibili incomprensibili che penetrano fino dentro le parti più nascoste, gettandolo in preda al panico. Si pone mille domande su eventuali errori di costruzioni, su debolezze nella difesa, su pericoli trascurati, sulle supervalutazioni di altri pericoli meno importanti. La stessa felicità di possedere la tana l’ha forse viziato, indebolito, reso più vulnerabile, fino ad arrivare a una immedesimazione tale che le ferite della tana diventano le proprie ferite.