
pp. 150 – Studio Tesi – Pordenone 1992
- ESAURITO -
La polemica di Nietzsche contro Wagner, lunga e in parte non generosa, è studiata in tutti i suoi aspetti in questo libro di Morpurgo Tagliabue, che è stato in passato professore di Filosofia teoretica all’Università di Trieste.
Il punto di partenza, la tesi storicamente precisata, dello studioso è quella di mettere da parte sia gli aspetti strettamente musicali, sia gli aspetti troppo personali, e qui il riferimento alla “grave offesa personale” subita da Nietzsche è obbligatorio. In effetti né le scelte tecniche di Nietzsche sono realmente accettabili come critica specifica all’opera di Wagner, né di questa presunta o reale offesa c’è traccia o documentazione. Nelle faccende personali di Nietzsche, in effetti, la prudenza non è mai troppa.
Ecco quindi lo studio di due protagonismi in conflitto tra loro. Da una parte Wagner e la coscienza della propria missione rivoluzionaria prima e riformatrice poi della musica, e attraverso di questa, della realtà sociale, dall’altra parte, Nietzsche e la coscienza di essere un destino. Nel mezzo l’ombra di Schopenhauer. Nietzsche rimprovera a Wagner di essere un passatista, di avere la virtù dei decadenti, la compassione. Il problema è che per Schopenhauer la volontà è il male che produce all’uomo solo sofferenze, obbligandolo sempre a volere, mentre per Nietzsche la volontà può assolvere se stessa nell’azione. Questo differente punto di vista non sfiora che parzialmente l’impegno artistico di Wagner, ma per Nietzsche è il momento essenziale del suo attacco polemico.
Le scelte musicali di Nietzsche, anche se si accetta il riferimento positivo a Bizet come un espediente provocatorio, sono per lo stile leggero, ardito, sicuro di sé, di buona andatura, ritmo, danza, marcia, insomma un’arte irridente, leggera, fuggitiva. Wagner sta altrove.
Ma, alla fine, il centro del problema è visto bene nelle pance rigonfie di bevitori di birra che troneggiavano dominanti fra gli ascoltatori delle opere wagneriane nel mezzo del santuario. Borghesi mangiatori di salsicce e presunti intenditori di arte musicale, capaci di estasiarsi del Tannhäuser e di ruttare senza vergogna.
Scrive Nietzsche maturo: “La musica, per amor del cielo! Conserviamola pure come una ricreazione, ma che non sia niente altro”. Queste parole estreme nascondono un secondo livello, egli sa bene che il superuomo è laggiù in prospettiva, una costruzione della mente, un ideale o, forse, di più, una illusione alimentata dalla realtà che circondava il povero poeta, i panciuti fruitori della musica di Wagner in primo luogo. Sa bene Nietzsche che un odio spaventosamente triste dilaga dappertutto e che salire le vette del suo Zarathustra diventa sempre più difficile, il passo dall’inferno dell’ottusità al niente è breve. La vita produce il caos e questo produce la vita, solo che la tempesta dell’ordine e della corrispondenza lo schiaccia sotto il suo controllo, riproducendolo in una continua modificazione che alla lunga consente solo la fioritura di qualche bocciolo conoscitivo nella massa della sterpaglia senza fine, incompletabile.