L’unico e la sua proprietà

Max Stirner
pp. 272 – Edizioni Anarchismo – Trieste 2012
Prezzo di copertina € 10,00
Nostro prezzo € 7,00

Un libro straordinario, che mette il lettore di fronte alle scelte radicali che si impongono costantemente nella vita di tutti e che altrettanto costantemente rifiutiamo di fare fino in fondo. Un libro contro gli accomodamenti e gli accordi sotterranei con noi stessi che fissiamo con le nostre paure e le nostre viltà.

Leggendo questo libro si corre il rischio di non riuscire più a contrattare questi medicamentosi compromessi, quindi L’unico è da considerarsi, come è stato considerato da un secolo e mezzo, un libro “pericoloso” di cui si è sempre sconsigliata la lettura agli animi deboli.

La sconsigliamo anche noi.

Il dominio si nutre di tutte le nostre passioni soffocate, di tutte le cittadelle dell’illusione costruite sul senso di colpa e sulla messa in scena sociale della personalità. L’ideologia colonizza sempre lo spazio delle idee e dei desideri che non riusciamo a vivere. Ogni appello alla passività, ogni pratica che integra la morale della coercizione è un servizio reso al potere. Se la forza reale è il possesso di se stessi, qualsiasi forza subordinata all’inferiorità altrui – e tale è sempre l’autorità – non è che il rovescio dell’estraneazione. Su quel rovescio si troverà sempre il bisogno di competere, mentre il sentimento – preciso, carnale – dell’unicità non sa che farsene della competizione, perché non accetta misure al di fuori di sé. È l’uguaglianza nell’appiattimento che crea false rivalità. Non a quel tipo di uguaglianza, quindi, deve tendere la soppressione delle classi sociali, bensì all’emergere del solo conflitto autentico perché non più mediato: il gioco dell’unicità. In tal senso, quello stirneriano è un discorso di classe che sfugge al messianesimo proletario. Gli sfruttati non sono portatori di alcuna missione storica, così come il lavoro a cui sono obbligati non è la fonte di alcuna virtù. Semplicemente, essi sono contro la società nella misura in cui realizzano il proprio interesse: quello di negarsi in quanto sfruttati, cioè di creare relazioni libere dal salario e dalla gerarchia.

L’unico è stato senz’altro un mito, che di storie ne ha raccolte molte più di quanti sono stati i suoi lettori, influendo sui costumi più che sulle intelligenze. Eppure tanti che l’hanno letto o “ascoltato” tra i rumori e le mode di un’epoca, non vi hanno trovato una stupida esaltazione della violenza né l’apologia dell’inazione e dell’isolamento, e nemmeno le insidie di quella dialettica hegeliana di cui Stirner non si è mai del tutto liberato. Vi hanno trovato, al contrario, una vigoria che ha fatto tremare i re e i capi di Stato del mondo intero armando mani ribelli; che ha spinto faccia a faccia col fascismo, con lo stalinismo e con tutte le repubbliche. E questo mito, questa storia, continua a parlarmi.