Etienne De La Boétiepp. 80 – Edizioni Anarchismo – Trieste 2007
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Con La Boétie siamo agli inizi della riflessione libertaria. Piccoli lampi che si accendono in un cielo pieno di nubi. Rabelais, un altro lampo. È il secolo della nascita e della crescita delle monarchie centralizzate. Il modo di vita derivante direttamente dal tardo medioevo si sgretola sotto i colpi della nuova potenza dei re: i mezzi di una forma embrionale di burocrazia, embrionale ma già sufficientemente articolata per gestire dal centro un vasto groviglio di interessi, sono pronti ad entrare in azione. A parte la nobiltà parassitaria, piena di debiti e in via di mangiarsi pure le residue entrate provenienti dalla vendita dei diritti di libertà ai comuni, e non considerando una borghesia ancora non ben sicura di sé, in quanto classe e in quanto detentrice di mezzi di produzione, restano i contadini. Un mondo pieno di contraddizioni, colpito da miserie endemiche e periodiche, sotto il segno della croce e dei preti, con sussulti di liberazione e con accenni di conservatorismo.
Come l’altro francese, quel Fermat, che da secoli fa rompere il capo ai matematici con il suo ultimo, incomprensibile e indecifrabile algoritmo, La Boétie, da secoli, ha trovato lettori molti, interpreti alcuni, ma non per questo può dirsi che sia stato capito.
A cominciare da Montaigne, eccogli reso un cattivo servizio. Il testo viene sommerso nel più ampio progetto dei Saggi, segue la fortuna di questi ultimi, sebbene lo stesso filosofo francese abbia sentito non solo l’importanza del lavoro dell’amico, ma anche la profonda diversità dello scopo, se non proprio delle tematiche.
Frequenti riemersioni, poi, da Félicité de Lamennais a Pierre Leroux, da Auguste Vermorel a Gustav Landauer, fino alle letture attuali, quella di Simone Weil, di Pierre Clastres, di Claude Lefort, di Miguel Abensour, di Marcel Gauchet. Ai vecchi tentativi di mistificare le letture, di giustificare ora il cerchio e ora la botte, segue una più onesta focalizzazione del problema: non più la critica o l’esaltazione del principio apparentemente astratto che tutti gli uomini sono uguali e quindi devono essere liberi non essendoci possibilità di legittimare un qualsiasi potere, ma l’analisi dell’accettazione del potere, del dominio, dello sfruttamento, della servitù.
Ecco perché La Boétie ritrova oggi, specialmente in questi ultimi anni, un’attenzione ben altrimenti fondata di quella che poteva costituirsi sull’analisi letteraria del testo o sulla riflessione intorno alle condizioni che confortarono la sua nascita.
Nel momento del passaggio dalla dominazione locale alla struttura piramidale dello Stato monarchico centralizzato, La Boétie si chiede perché la rivolta contadina e perché la repressione, perché l’accettazione degli strumenti simbolici della repressione all’interno della dimensione della rivolta, e perché la difesa di interessi padronali di un certo tipo di fronte a interessi di un altro tipo, ma comunque sempre contrari a quelli degli sfruttati. E a queste domande, rese più stringenti dalle recenti esperienze, dal giureconsulto vissute in disparte, se si vuole, ma non per questo meno cocenti in fondo all’anima; a queste domande la risposta è una sola: deve esserci qualcosa di illogico nell’amore delle proprie catene.