Il guardiano dei sogni

Paolo Maurensig
pp. 169 – Mondadori – Milano 2003
- ESAURITO -

Dopo un attacco di cuore, riavutosi in ospedale, un giornalista si ritrova, come vicino di letto, la più inquietante delle compagnie. Il conte Antoni Stanislaw Augusto Dunin, nobiluomo polacco. Nei tratti del volto, nella magrezza, nella foggia della barba assomiglia a Tolstoj vecchio, ma la sua caratteristica è un’altra: sa leggere i sogni di chi gli sta vicino. E così il giornalista si vedrà scrutato fin nell’intimo più profondo, in ciò che egli stesso ignora o rimuove del suo passato, dei suoi amori, dei suoi lutti. Una sensazione per nulla gradevole, ovviamente, ma a tal punto inconsueta e stupefacente da spingerlo, una volta dimesso, a rintracciare l’elusivo personaggio che, comunque, ha saputo suscitare la sua curiosità.

Dopo La variante di Lünenburg (Adelphi, 1993), Canone inverso (Mondadori, 1996) e Venere Lesa (Mondadori, 1998), Il guardiano dei sogni: una storia ambientata a Venezia. “La sventura spesso accomuna i soggetti più disparati, mette assieme persone che altrimenti non avrebbero stretto alcun rapporto di conoscenza, risveglia sentimenti eccessivi, a volte abnormi, destinati però a svanire non appena si ristabilisce la normalità”. Figlio di uomo d’armi e di una sorella di Jan Potocki – quello del Manoscritto di Saragozza – Dunin viene iniziato a queste pratiche esoteriche da un frate che passa per i suoi possedimenti in Polonia. Questo magico personaggio dà al nobile il dono di leggere nei sogni degli altri e il giornalista ne rimane conquistato. Dopo la degenza il protagonista ritrova il conte clochard in un dormitorio pubblico. Il finale è a sorpresa.

“Che cosa si vede nei sogni della gente?”, si chiede l’io narrante, “sentii un formicolio salirmi verso la spalla per diffondersi nel torace e localizzarsi nella regione cardiaca. Provai una leggera vertigine. Tutto era come prima, ma il significato era cambiato. Non è facile spiegare ciò che provai, potei dire che vedevo l’essenza delle cose, che vedevo per la prima volta, senza necessità di alcun giudizio, senza il bisogno di dare un nome alle cose”.