Cesare Fertonani
pp. 180 – Studio Tesi – Pordenone 1992
- ESAURITO -
Può la musica, al pari della parola, e forse al di là di questa, in maniera più penetrante e convincente, costituirsi in linguaggio significante? Possono gli effetti e le immagini evocati dalla parola prendere grazie alla musica risonanza aggiuntiva, in modo da aprirsi a livelli intuitivi irraggiungibili da parte dell’espressione linguistica?
Si tratta di quesiti che solo per restrizione metodologica possono applicarsi al rapporto tra musica e linguaggio, in fondo coinvolgono tutta la realtà percettiva dell’uomo, non solo il suo modello razionalista ma anche quello irrazionalista, i sentimenti e le pacate riflessioni, gli slanci amorosi e le idee codificate, se non proprio mummificate, della filosofia.
La musica a programma di Vivaldi è la parte più famosa della sua opera. Le stagioni, La notte, La tempesta di mare, Il gardellino, ecc. sono alcune delle composizioni più note fra le circa venti del suo repertorio specifico. Non c’è dubbio che in queste opere la componente allusiva e descrittiva, propria del programma, ha un influsso ordinativo sull’organizzazione tematica e sulla stessa invenzione.
Il lavoro di Fertonani dimostra che questa invenzione e gli esiti importanti della stessa organizzazione strumentale complessiva di Vivaldi si ripresentano puntuali anche nelle altri parti della sua opera. In questo modo viene fuori una profonda ambiguità in tutta l’opera del musicista veneziano: l’ubbidienza al canone estetico dell’imitazione della natura si scontra con l’insorgere di una validità semantica e di un potere di suggestione che nessun programma riesce a coartare. In fondo poco in Vivaldi soccombe alle necessità commerciali dell’epoca e molto invece trova una strada differente verso la gioiosa invenzione personale.