
pp. 156 – Mimesis – Milano 2000
- ESAURITO -
La purezza di Michelstaedter è causa della sua estraneità alla cultura italiana dell’intero secolo scorso e, nello stesso tempo, del suo prematuro suicidio. Non c’è verso, tutti i tentativi di arruolare questo giovanissimo pensatore in una o l’altra irreggimentazione sono falliti, si tratta adesso di leggerlo per quello che è, con tutti i suoi limiti, in modo da tornare a dare aperture e possibilità a una parola autocensuratasi troppo presto.
Scrive Michelstaedter: “Poiché, se l’uomo che vuole fortemente le cose per sé, dà a queste un valore preciso, concreto, e vi contende con tutta violenza – questo si comprende da sé, se l’apostolo, il filosofo dice ‘io sono il figlio di Dio’ e descrive il mondo della giustizia, il mondo del sommo bene come una realtà, e se rinuncia con gioia alla vita di cui ha distrutto i valori – questo è ancora nell’ordine naturale delle cose. Ma che un uomo che dà valore a ogni cosa nel mondo non si determini poi verso questo per sé, egoisticamente, ma ogni volta per ogni cosa, questo trascende la vita, questo fa pensare a Dio, questo fa pensare a un valore in sé delle cose così come stanno, per cui vale la vita, a un’anima che è tutta buona, a un’assoluta felicità, al regno dei cieli, alla volontà sempre presente del Dio, alla possibilità della vita di ciò che non vuol essere, della felicità di ciò che non chiede la felicità, della libertà di chi non ha più che cosa volere liberamente, o una volontà e un fine razionale. Come la vista della natura che è tutta pace all’occhio che la vede nelle sue grandi forme immobili, vivere senza lottare per vivere, così l’uomo di Dio, che nulla chiede e tutto dà, ed è contento in sé, sembra che squarci la trama oscura delle volontà nemiche e senza posa fluenti, e ci additi i templi sereni, Gloria in excelsis deo et in terra pax hominibus”.
Pochi riescono ad uscire da questa alternativa.