Carteggio 1918-1969

Martin Heidegger - Elisabeth Blochmann
pp. 248 – il melangolo – Genova 1991
Prezzo di copertina € 15.49
Nostro prezzo € 7,75

Se da un punto di vista strettamente filosofico Heidegger rimane, e si va sempre più affermando, come uno dei maggior filosofi del secolo scorso, da un punto di vista personale, come uomo, le ombre che coprirono e persistono a coprire la sua vicenda umana, non intendono dissiparsi.

Ciò è dovuto alla sua persona insipienza, al suo sentirsi non compreso, al suo arroccarsi non tanto su giustificazioni della connivenza col Terzo Reich, che anche queste ci sono state, quanto su di una pretesa strada solo a lui nota.
So bene che queste sono miserie e che non è il caso di gettare l’acqua sporca con tutto il bambino, ma è anche robaccia da tenere presente.

Quale migliore occasione per riprendere questo discorso in occasione della lettura di questo libro, il Carteggio tra Heidegger e una sua amica, per la verità più amica della moglie, la Blochmann, di origini ebraiche e quindi costretta a fuggire via dalla Germania dopo la perdita dei propri genitori in quelle attrezzature di morte all’ingrosso che i datori di lavoro del suo amico filosofo erano così bravi ad organizzare.

Ecco quindi qui, tutto qui, l’interesse di questo libro. Un’amicizia, con venature sensuali a volte perfino eccessive (non sorprendenti per chi conosce la vita di Heidegger), ma con pochi contributi esplicativi alle disavventure politiche del teorico dell’Essere.

Heidegger scrive: “L’angoscia non ha davanti a sé qualcosa di concreto e di definito, un ente intramondano, questa è la paura, l’essere nel mondo. Ciò che contraddistingue il davanti a sé dell’angoscia è il fatto che il terrificante, il minaccioso, non è in alcun luogo, ci è così vicino che ci opprime, e ci taglia il respiro, e nondimeno non è in nessun luogo. Ogni situazione emotiva, rivela come ci si sente, e nell’angoscia ci si sente alla presenza del nulla e spaesati, ma sentirsi spaesati significa contestualmente non sentirsi a casa propria, cioè nella vertigine dell’estraneità e della nientificazione”. E il fumo dei forni crematori? Vien fatto di chiedere. Andiamo sono cose queste da chiedere a un filosofo. E difatti la pudica Elisabeth Blochmann non si azzarda a chiederlo, ma la domanda sta dietro ogni lettera successiva agli anni dell’ascesa al potere del nazismo.
È comune a quasi tutti i filosofi trovare giustificazioni astratte ai propri inganni concreti.