L’isola

Giani Stuparich
pp. 96 - Il Ramo d’Oro Editore - Trieste 2003

- ESAURITO -

Non sono molti i libri che parlano del rapporto tra un figlio e suo padre, del potente coinvolgimento emotivo che questo rapporto inevitabilmente determina quando la vita del padre declina, quando il simbolo della forza e della speranza di aiuto e di difesa si trasforma, a sua volta, in un essere malato, debole e bisognoso di essere difeso.
Stuparich è scrittore anche di piccole storie, piccole nella dimensione, grandi nella intensità con cui riesce a condurre con sé il lettore. Davanti all’isola i due hanno una sorta di ritorno alle antiche esperienze, alla forza del padre e all’infanzia del figlio. «Com’era tornato vivace suo padre. Respirava meglio; pareva sano. Che i medici si fossero ingannati? Che davvero non si trattasse d’un tumore maligno e ci fosse speranza di guarigione?

«Mentre la nave attraccava al molo, nel lieto, affaccendato brusio dell’arrivo, il figlio si lasciò penetrare dalla dolce e improvvisa, per quanto assurda, speranza. Infilò il braccio sotto quello di suo padre e, pur sentendone la pietosa magrezza, volse l’immaginazione al momento in cui gli avrebbe potuto dire con tutto il fervore dell’anima: “Sei guarito, papà”. E come per anticipare quel momento, cercò dentro di sé qualche cosa da esprimere che facesse piacere al padre».
L’isola è pertanto una sorta di mondo fatato che sospendere la dura legge della malattia, la sentenza di morte è rinviata. Il padre e il figlio conoscono bene l’isola, l’hanno percorso tutta, altre volte, a piedi e circumnavigata a la vela. Amano in particolare certi angoli piantati a ulivi, aspri e sassosi; profumati di sale e di mentastri, battuti dai venti, con un gran mare dinanzi e alle spalle un cielo senza fine. La parte selvaggia, dove non ci sono né ville né palme, con i piccoli e asciutti fiori delle salvie e con i ginepri; dove il mare penetra sonoro tra le scogliere o ammorbidisce in brevi dolcissime insenature naturali.

Eppure è proprio qui, di fronte a una sorta di rinascita, alla bellezza selvaggia e prorompente dell’isola, al mare che manifesta tutta la forza reale, non fittizia come quella degli uomini, che viene fuori la luce spietata della sentenza di morte. La vita è una breve bufera, nemmeno arriva alla dignità di una tempesta invernale. Qualche tuono, qualche lampo ed è subito ora di fare i bagagli.

Di fronte all’appello non rinviabile, il padre raccoglie le sue forze. Lo spettacolo della natura riassunto nello splendore dell’isola non è certo estraneo a questo ultimo sforzo. Eccolo ancora fiero e impavido, anche se leggermente barcollante, prepararsi alla partenza, all’ultimo viaggio verso la conclusione della propria vita. «Così il figlio aveva sempre conosciuto suo padre e così, superata l’ultima insidia dell’avvilimento, suo padre moriva, restando lui, conservando la sua fierezza d’uomo superiore alle vicende, più forte del suo stesso destino. Questa era la sua verità, il suo vero primo piano: tutto il resto, anche la menzogna di quegli ultimi mesi, passava nello sfondo».

Sul piroscafo l’isola, nell’orizzonte, rimpicciolisce piano piano per poi spegnersi, come la vita del padre che sotto coperta affronta rassegnato gli ultimi momenti dell’esistenza, i più difficili.
Il figlio, da parte sua, ha nello stesso momento la perfetta coscienza di cosa sta perdendo suo padre.