
[versione e commento di]
Guido Ceronettipp. 463 – Adelphi – Milano 2006
Prezzo di copertina € 32,00
Nostro prezzo € 27,20
Il Libro dei Salmi non è soltanto uno dei libri più grandi su cui l’occhio possa posarsi. È anche un libro le cui parole, abbandonato “il selvatico e il roccioso” del loro luogo d’origine, si sono diffuse in rivoli inesauribili ovunque, mescolandosi alle espressioni più familiari, lasciandosi ripetere da tanti che non sanno neppure di ripeterle. Tradurre questo libro è dunque un risalire le acque del Giordano, attraversare le illuminazioni e i fraintendimenti di secoli. Dei salmi Guido Ceronetti ci offre una versione memorabile, innanzitutto per la tenacia nel mantenere la parola “costantemente nel deserto, in una luce che angaria d’assoluto” e per la capacità di torcere la lingua del bel canto verso la “forza del verbo semitico con la sua visione monotona e dirompente di Dio”. E altrettanto memorabile è l’appassionante commento, vero diario di una vita con l’angelo. Un angelo esigente che si presenta sotto forma di versetti, martellanti nella memoria, in attesa di una nuova lettura, sempre più precisa, sempre più intensa. Un angelo che istiga a un continuo spostarsi della tenda nomade del pensiero verso la “misteriosa nicchia” del testo. Alla fine di questa lunga migrazione, compiuto il suo “dovere di alchimista”, Ceronetti ci consegna questo Libro dei Salmi, non più “grande rosa spampanata priva di spine”, come nella versione di San Girolamo, ma improbabile fiore del deserto, con un solo consiglio: “Fatevi in casa un pezzo di muro rotto, collocateli là”.
Ma la lettura di questo libro non è soltanto un riposo degli occhi e della mente, è un appello alla tensione, al combattimento, alla veglia, alla riflessione. Non è lettura per animi deboli o per caratteri desiderosi di quiete. Non c’è un appagamento in Dio, finalmente porto di quiete e tramonto delle impervie scalate di gioventù. Sia pure dopo trent’anni di lavoro sul testo, Ceronetti non conclude per il raggiungimento di uno scopo, ma colloca bene in vista il cartello: “lavori in corso”. Lavori sulla lingua.
Il linguaggio che utilizza oggi non presenta più il classico pericolo del passato, l’eventualità della serpe in seno. Il prodotto, anche se rissoso e brutto, non può rivoltarsi contro l’incubazione che lo ha determinato, in quanto non è più in grado di separare il suo proprio concetto da quello che lo determina, la stessa espressione, forse differentemente modulata, quasi sempre si identifica collaborando. Non c’è una collocazione da scaffali, anche se rimane un libro per pochi lettori, agguerriti. La fruizione garantita non fornisce più una base da cui partire per sviluppi autonomi, a loro volta garantiti parzialmente e per il resto rifiutati e contraddetti. Nessuna separazione del genere è più possibile. Nessuna garanzia è più possibile, specialmente con i tempi che corrono. Non si tratta qui soltanto del vecchio ruolo consolatorio, ma proprio della gestione in proprio da parte del lettore delle proprie letture oltre che dei propri pensieri e delle proprie esperienze, gestione che sostituisce qualsiasi ruolo pensato come separato. A suo modo razionalizzante, lo scritto del passato non ha più ragione di esistere in un mondo che ha fatto della ragione il proprio fulcro propulsivo. Ma sussiste, e con quale forza, l’antico apporto dissonante, nascosto fra le pieghe di un nuovo paludamento, come la sottile ironia di cui non si poteva aveva contezza in passato, con un più forte significato di rottura. La grande ragione dominante potrebbe recuperarlo pascendosene come ulteriore livello di sicurezza, potrà farlo? Non sappiamo. Dopo tutto a questa scommessa gioca anche il lettore, e le sue puntate sono sempre più alte e rischiose.