Il cardo

Yashar Kemal
pp. 380 – Garzanti – Milano 1987
Prezzo di copertina € 19,00
Nostro prezzo € 9,50

Yashar Kemal (Yasar Kemal Gökçeli), nasce nel 1922 a Hemite, un piccolo villaggio di 60 case nella provincia di Adana, nel sud della Turchia. Da piccolo perde il padre, assassinato in una moschea. Nel 1950 fa ritorno a Istanbul e, dopo un periodo particolarmente difficile, trova finalmente lavoro come giornalista per il più importante quotidiano di Istanbul: “Cumhuriyet” (“Repubblica”).

Di sé scrive: “Ho sempre voluto essere il cantore della luce e della gioia. Ho sempre voluto che i lettori dei miei romanzi fossero uomini pieni d’amore: per gli altri uomini, per i lupi, gli uccelli e i coleotteri, per tutta la natura. E sono convinto che, su questo pianeta, le magnifiche culture degli uomini che risiedono nella mia terra porteranno il fertile paesaggio culturale a essere di nuovo verde”.

Si tratta di un libro che fa a meno agevolmente delle classiche modalità della narrazione occidentale. Le vicende epiche e leggendarie della regione del Tauro sono le più adatte a narrare lo spirito di rivolta della terra di origine dell’autore.
In una natura arida e incolta fioriscono i cardi. “Terre bianche – racconta Kemal – candide come ricotta, dove non spuntano alberi né erba né fichi d’India. Eppure i cardi crescono rigogliosi e fitti, sino a ricoprire ogni palmo di terreno”.

Il villaggio di Degirmenolu è circondato da una distesa di cardi. È come un deserto. Soltanto cardi. Un brigante che sia un vero brigante deve stare sui monti. Che senso ha l’amnistia? L’antica lotta tra sfruttati e sfruttatori non cessa per un accorgo governativo. Il di già conosciuto, come meccanismo della catalogazione e della miseria, è così contrapposto al territorio dell’implacabile deserto, dove tutto è sicuro di sé solo se realizza la distruzione dell’obbligo.

L’eremita digiuno, vestito di pelo di cammello, abituato a nutrirsi di cavallette è il simbolo della ragione. L’estremo territorio del vaglio critico conduce dove non c’è più nulla, se non il deserto. E, ora so, che il deserto alberga fantasie torride di scuoiamenti. Il mondo della storia, che si sviluppa nel campo, ha ucciso la vita nel momento del passaggio dal fare al fatto, il ghigno del diavolo, in caso contrario la storia sarebbe sempre il fare e mai il fatto. E questa storia viene da lontano, da una Turchia ancora feudale appena intaccata alla fine dell’Ottocento dalle prime avvisaglie del tempo moderno. Miserie peculiari e fantasie di adeguamento, tentativi di ottenere corrispondenze disciplinate con poco sforzo, abitudini del pensare e quindi del fare. Nemici e vittime della modernità, la sola strada percorribile per essere accettati nell’ora che sta sempre sulla soglia della completezza.

Amore e ribellione. Una infruttuosa ribellione foriera di morte, un amore che rimane insanguinato fra le spine dei cardi. La ribellione e la follia gli sono compagne, non certo la quiete e la tranquillità. Per i cercatori di calma non alberga in essa la felicità, è meglio che levando le tende si indirizzino altrove, dove per loro è l’orrore per altri la speranza di liberarsi dalla miseria.